Si può “raccontare” una partita di scacchi?
Si deve! raccomanda lo scomparso professore argenti- no Jorge Laplaza, in questo articolo sul materiale didattico da consegnare agli allievi.
Laplaza, richiamandosi alle indicazioni del cubano Francisco Acosta Ruiz (l’articolo del quale si può leggere qui) raccomanda di evitare varianti chilometriche e suggerisce invece di abbondare con le spiegazioni verbali. Queste facilitano la lettura, rendendola accattivante e favoriscono la formazione nella mente del lettore di una euristica degli scacchi, una estensione di quanto l’esempio ha mostrato a casi più generali.
Perciò in una lezione preparata a dovere, il racconto della partita dà struttura ai concetti.
Ma un altro autore, più famoso, ci avvisa anche dei problemi della narrazione applicata agli scacchi. Jonathan Rowson nel quarto capitolo del bel libro Chess for Zebras, prima chiarisce il suo punto di vista con una citazione della poetessa americana Muriel Rukeyser (1913-1980):
L’universo è fatto di storie, non di atomi.
per proseguire con una affermazione importante:
mentre stiamo pensando su una posizione, siamo, in molti modi, narratori delle nostre partite.
e ancora:
lo scopo dell’analizzare accuratamente le vostre partite è farvi raccontare una storia accurata su di esse, al posto di valutazioni schematiche e vaghe come “ho cappellato”, o “non conoscevo l’apertura”, o “ho giocato senza un piano”.
e poi discute i pro e i contro della cosa, precisando, però che la creazione di storie è inevitabile, in quanto parte dell’essere umano.
Vediamo, seguendo Rowson, quali sono le caratteristiche della narrazione.
1) la narrazione crea una visione d’assieme – valutazione della posizione, obiettivi posizionali, manovre psicologiche – che dà senso alla parte (mosse, varianti).
2) ma attenzione perché
– la narrazione potrebbe essere vaga e quindi portare a piani di gioco vaghi
– la storia potrebbe farsi fabulazione, non più racconto dei fatti ma distorsione fantasiosa di essi attraverso il racconto. E in quanto si fa fabulazione, la narrazione ci può fuorviare. Rowson, con esempi tratti da partite sue e dei suoi allievi, ci mostra come la fabulazione può portare a giocare in modo stereotipato e inadeguato alle esigenze della posizione.
3) perciò una buona narrazione scacchistica è una storia
nella quale le valutazioni e le varianti che pensate danno senso le une alle altre
(…)
che ci dà l’esatta sensazione di capire cosa sta succedendo e perché
(…)
che contiene un elemento di incertezza (…) che lascia spazio alla versione degli eventi dell’avversario
Forse ho capito un’altra ragione che mi fa amare gli scacchi: sono una fonte inesauribile di storie, storie in cui gli elementi narrativi, i cosiddetti “princìpi” o “regole”, si ricombinano in modo sempre diverso e sempre riconoscibile (magari non subito, magari mediato dalle spiegazioni di un grande maestro, ma comunque riconoscibile). Chissà se Propp giocava a scacchi?
Filed under: strumenti didattici | Tagged: laplaza, narrazione, rowson, scacchi |
Interessante articolo. Complimenti 🙂